Tendenze
I dati non mentono: il mercato globale della “carne finta” o “carne vegetale” valeva 5,6 miliardi di dollari nel 2020 e secondo uno studio recente potrebbe raggiungere i 14,9 miliardi di dollari entro il 2027 (Researchandmarkets.com). Sono molteplici i fattori che alimentano il mercato delle alternative vegetali alla carne: la crescente consapevolezza degli indiscutibili danni causati al pianeta e al nostro clima dall’allevamento animale, lo spreco di risorse legato alla filiera della carne e dei prodotti animali, le preoccupazioni per la salute, la maggiore sensibilità alla sofferenza animale, tutti fattori che contribuiscono all’ascesa di vegani, vegetariani e flexitariani, nonché agli importanti investimenti nel settore senza carne.
Oltre alle start-up 100% vegetali, come le note Beyond Meat e Impossible Foods, il settore delle carni vegetali attrae i trasformatori tradizionali e le multinazionali, come Tyson Foods, Nestlé e Kellogg’s, solo per citarne alcune. In termini di proteine vegetali, oltre alla tradizionale soia e ai suoi derivati, la scelta è davvero ampia: fagioli e legumi, quinoa e cereali, seitan e prodotti a base di glutine, canapa… gli studi indicano che la fonte proteica vegetale in più rapida crescita per i prossimi anni è la proteina di pisello, principalmente perché evita problemi allergenici, legati al consumo di glutine e soia.
Mentre l’esperienza del gusto è solo parzialmente rilevante in una scelta vegana, diventa fondamentale quando i consumatori coinvolti sono flexitariani o reducetariani, o per coloro che optano per una dieta a base vegetale per ragioni diverse dagli animali e dall’ambiente. Pertanto, diventa fondamentale lavorare sulla formulazione del prodotto, per assicurarsi che l’esperienza del gusto del consumatore sia il più possibile vicina al riferimento animale. Stefano Asti, Direttore Ricerca e Innovazione di AromataGroup, spiega come stia diventando sempre più importante essere in grado di offrire “un prodotto la cui reologia sia simile alla carne, dove i parametri di durezza, elasticità, gommosità, masticabilità e coesione siano paragonabili al prodotto finale a base di carne, in modo che il consumatore non percepisca differenze significative al momento del consumo”.
L’esperienza gustativa diventa quindi importante tanto quanto il sapore finale del prodotto, che deve offrire “il profilo aromatico del prodotto finale cotto, come ad esempio note di carne leggermente grigliata o arrostita per hamburger quando grigliati o cotti in padella, mentre per un filetto di pollo vegano o per i bocconcini di pollo vegani, il profilo deve imitare il sapore del pollo vero così come viene normalmente lavorato, cioè pastellato e leggermente fritto prima del confezionamento”, spiega il nostro dott. Asti.
Sembra proprio che il 2021 sarà ricordato come l’anno del “pollo vegetale”: la stessa Beyond Meat ha annunciato investimenti e sviluppi in questo ambito, e una start-up britannica creata appena una manciata di mesi fa, VFC, è già sbarcata con successo sul mercato spagnolo e punta ad attraversare l’Atlantico, per raggiungere il mercato statunitense.
Il futuro, tuttavia, è il mercato cinese, il più grande consumatore di carne al mondo, in particolare di pollo e maiale. Il consumo di quest’ultimo è ora il doppio del volume del consumo europeo e si prevede che crescerà ulteriormente, nonostante l’impatto negativo degli allarmi alimentari legati alla zoonosi come la peste suina. Una sfida completamente nuova per i produttori, che potrebbero facilmente sfruttare al meglio il crescente appetito del paese per alternative vegetali al maiale specificamente mirate ai mercati asiatici, formulate per adattarsi al gusto locale, come OmniPork e OmniMince di Right Treat di Hong Kong, create con la collaborazione di chef locali. Un buon suggerimento per nuovi sviluppi, vero?